La Gran Festa da d’Istà

La Gran Festa da d’Istà si svolge ogni anno a Canazei alla fine della stagione estiva.
Quest’anno, dal 8 all’10 settembre Canazei tornerà a vestirsi a festa per la 42esima edizione di questo coloratissimo evento.

Una grande festa (il nome la dice lunga) con tre giorni di allegria, divertimento, musica, ballo e folklore. Per l’occasione, proprio a due passi dal nostro Albergo, viene allestito un enorme tendone che oltre ad essere un ottimo punto di ristoro è anche il centro della festa. Si danno appuntamento ogni anno turisti e locali per festeggiare insieme la fine della stagione estiva. Inoltre grandi e famosi gruppi folkloristici austriaci, altoatesini, nonché ladini danno vita ad una serie di concerti musicali affascinanti nel loro genere.
Il culmine della festa avverrà la domenica 11 settembre, con la grande sfilata per le vie di Canazei di bande musicali e gruppi folkloristici delle quattro valli ladine, ovvero la Val di Fassa, la Val Badia, la Val Gardena e la valle di Livinallongo.
La sfilata passa proprio sotto il nostro hotel permettendo a tutti i nostri ospiti di avere una visuale privilegiata proprio dalle finestre delle proprie camere.

Da dove nasce questa festa?

Nel 1974 Ezio Anesi è diventato il direttore dell’Azienda di Promozione Turistica di Canazei, dove già lavoravano Tarcisio Davarda e Maria Assunta Merli. Erano loro che si occupavano dell’organizzazione delle manifestazioni, laddove non esisteva ancora un comitato con questo incarico e i volontari del paese davano una mano nell’organizzazione delle iniziative turistiche. L’anno dopo è nata una festa del folclore animata dal gruppo folcloristico di Alba guidato da Guido Iori. Venivano in valle alcuni contadini di Siusi che si portavano appresso i loro aiutanti per fare la sfilata. Da allora si fece strada l’idea di organizzare una festa più grande. Croce Bianca, Vigili del Fuoco e Alpini si misero a disposizione, con la voglia di darsi da fare per raccogliere un po’ di soldi. Fernando Riz, responsabile della Croce Bianca col suo braccio destro Silvano Planchensteiner del Pech, Ezio Anesi e Armin Detone sono stati i primi ad elaborare il progetto di una festa estiva e per la sua realizzazione hanno chiamato Ermanno Dantone per gli alpini e Mario Micheluzzi comandante dei Vigili del Fuoco.

I costumi tipici

Le Dolomiti, isola “felice” e patria di un popolo chiamato “ladini”, sono state per molto tempo parte integrante dell’Impero Austro-Ungarico. La popolazione ladina era perfettamente integrata in una realtà austriaca; senza avvertire alcuna sottomissione all’Impero, i ladini vivevano, si vestivano, mangiavano e ballavano come in tante altre parti dell’Impero, sicuramente come tutti i tirolesi.
Senza dubbio è importante per la storia dell’abito ricordare che i fassani abitualmente si recavano in altre parti dell’Austria e si spingevano fino in Svizzera per lavorare come decoratori e musicisti. Dai loro viaggi gli uomini portavano non solo melodie, ricordi, usi e costumi nuovi, ma anche abitudini nuove e gusti diversi; alcuni portavano in valle anche delle belle stoffe o parti dei costumi femminili che regalavano in famiglia e che ricevevano spesso in cambio dei loro servigi.
Indossare un costume per la gente ladina, ma anche per gli austriaci, i tirolesi, i polacchi e altri, significa innanzitutto compiere un rito. Indossare un costume è una cosa sacra e la “vestizione”, il rito dell’agghindarsi, è un atto da compiere seguendo delle regole ben precise. I fassani affermano che il costume va portato con un certo portamento e che ogni costume si relaziona con chi lo indossa.
Il costume tipico delle popolazioni austriache e tirolesi ancor oggi è cucito a casa o dalla sarta del paese e indossato esclusivamente dalle persone del luogo. Per la confezione di tali abiti ogni particolare, anche la lunghezza del punto segue delle motivazioni e delle regole ben precise, perché come dice anche la teoria degli insiemi, ogni singolo elemento costituisce l’insieme.

Le stoffe dei costumi indossati durante la sfilata, sono il lino, la seta, la lana; tessuti naturali, che un tempo erano venduti dal venditore ambulante, il quale passava abitualmente (spesso proveniva dalla Val Sarentino) da paese a paese. La sarta veniva in casa e con il solo ausilio di forbice e filo, rimaneva in casa fino a quando non terminava il costume. La paga consisteva nel vitto e alloggio e in beni naturali. I costumi erano tramandati da nonni a nipoti e talvolta anche per più di quattro o cinque generazioni. I fassani avevano gran cura dei loro tesori e si sentivano bellissimi con i loro sfavillanti abiti.

 

IL COSTUME FASSANO
COSTUME DA UOMO
L’uomo fassano vestito “all’Antica” indossa:

– un paio di pantaloni di pelle (anche di lana), neri o marroni, stretti e lunghi fino al ginocchio;
– un panciotto rosso;
– una camicia bianca (possibilmente in lino);
– una cravatta in seta,
– una giacca nera;
– calzettoni bianchi;
– cinturone in pelle ricamato o fascia bianca;
– cappello a cilindro o berretto in pelliccia;
– dal corpetto pende una lunga catena in argento con dei talleri ed un orologio da taschino all’estremità della catena.

COSTUME DA DONNA
La donna fassana vestita “all’Antica” indossa:

– un abito chiamato “camejot”, formato da bustino rosso verde blu o viola ed una ampia gonna di lana plissetata di solito nera, ma anche in altri colori (Bordeaux, marrone, verdone o blu), bustino e gonna sono bordati di – passamaneria di seta gialla o nastri dorati;
– camicia di lino bianca;
– colletto con bordure e pizzi;
– sottoveste bianca o rossa (invernale);
– mutandoni con pizzi;
– grembiule in mussola di lana con stampa fiorata;
– lunghi calzettoni bianchi;
– nastro fiorato intorno alla vita;
– spilloni d’argento e tremolanti in filigrana d’argento nei capelli sapientemente intrecciati;
– pettine in osso con perline;
– coralli e catene d’argento al collo;
– orecchini di corallo.

La nota dolce delle “fortaes”

La Gran Festa d’Istà profuma di dolce, di zucchero e marmellata. Ci pensa il gruppo delle “fortaes”, il tipico dolce fritto, a dare quella nota ghiotta che tutti aspettano con ansia, grandi e piccoli.
Nei primi due dei quattro giorni di festa, l’olio sfrigola bello caldo dalle sette di sera fino all’una di notte. La domenica invece, ultimo giorno della Gran Festa, si accendono i fuochi già a partire dalle dieci di mattina. “In tre ore se ne possono friggere anche un migliaio, ma è difficile tenere il conto. Mettiamo da parte i sacchi della farina per fare il conto dei consumi. Ebbene, ne usiamo cinquanta-sessanta chili al giorno i primi due giorno e fino a 130 chili la domenica!”.
La tradizione delle “fortaes” e delle “sones”, le frittelle di mele, ha preso piede lentamente a furia di tentativi e di assaggi da parte delle nostre cinque pioniere fino a quando hanno raggiunto la perfezione della ricetta che vuole una pastella non troppo liquida, ma neanche troppo densa. Guai a risparmiare gli ingredienti, che devono essere di buona qualità, abbondanti e sempre freschissimi.

Ci vuole farina, latte, uova e zucchero, poco di quest’ultimo, dice Maria de Bùfol, altrimenti non friggono uniformemente. Una presa di sale, grappa, vanillina e lievito. La pasta deve scivolare dal foro dell’imbuto, ma non troppo velocemente. Ciò significherebbe che è troppo liquida e che poi schizza nell’olio caldo rovinando la sua bella forma tipica a spirale. Le “fortaes” che non vengono a regola d’arte non arriveranno mai ai tavoli del tendone, verranno messe da parte per il personale, perché i dolci non devono essere soltanto buoni, anche l’occhio vuole la sua parte. Imbuti ce ne sono di ogni tipo e misura perché ogni cuoca ha un suo metodo per versare la pasta nell’olio. Spesso se lo fanno fare di latta su misura per il loro dito indice che regola l’uscita della pasta e che dopo tre giorni di lavoro si vede spuntare un callo. Un mestolo di pastella è sufficiente per riempire l’imbuto, si toglie il dito e si muove la mano in cerchio sopra la padella, dal centro verso i bordi per fare la spirale. Un soffio di zucchero a velo e un cucchiaio di marmellata di mirtilli completano l’opera, anche se questa leccornia rossa è stata aggiunta alla ricetta originale solo da pochi anni a questa parte, e la “fortaa” è pronta da gustare. Nella stessa pastella vengono tuffate anche le fette di mela per fare le “sones”.
Eugenia non si sbottona di più, e nemmeno le altre cuoche. Questa è la ricetta per fare delle buone “fortaes”, ma loro ci mettono quel qualcosa di più che non vogliono rivelare a nessuno. E’ un segreto che si tramandano da cuoca in cuoca man mano che le nuove entrano a far parte del gruppo originale. Infatti da cinque che erano all’inizio, ora le cuoche pasticcere sono in tutto nove, e sfoggiano una bella divisa. Eugenia è la presidentessa del gruppo e ci dice che ha un sacco di lavoro. Deve preoccuparsi dei rifornimenti, deve pulire e preparare tutto a puntino prima che inizi la festa. E non c’è festa senza “fortaes”.

Il Gruppo Folk di Canazei

Lo spirito allegro ed il bisogno di allegria, colore e musica dei fassani ha reso possibile la formazione già negli anni venti del secolo scorso (1920) di diversi gruppi di persone che senza essere vincolati da obblighi o statuti si vestivano col costume “all’antica” con uno sbandieratore che portava lo stendardo dei sette colori; bandiera che un tempo portava cinque colori, quelli delle rispettive regole della comunità di Fassa, ed in seguito sette colori come i rispettivi comuni fassani.

Nonostante questa voglia di unirsi in gruppo, la povertà e le fatiche del quotidiano a quei tempi non permisero la fondazione vera e propria di un gruppo folcloristico anche perché allora le tradizioni e il bel costume ladino, che in quella versione ben pochi ancor possedevano, non sembravano in pericolo d’estinzione, ma più che vive nel cuore di tutti i fassani.

Tuttavia la guerra e i tempi duri che seguirono la seconda guerra mondiale distrussero (almeno così sembrava) quella ricchezza culturale di riti e tradizioni varie, musica e balli che la Grande Guerra (prima guerra mondiale) non era riuscita a portare con sè.

È da questo bisogno di tenere duro, di mantenere le proprie tradizioni, di restare fedeli allo spirito gaio e allegro di questi fassani, provati dalle sofferenze della guerra, che nasceva il primo piccolo gruppo folcloristico in quel bel paesino che è la frazione di Gries presso Canazei.

Questo piccolo gruppo era composto da gente di Canazei e Gries, i costumi erano in possesso dei componenti stessi o presi in prestito da qualche fassano che aveva saputo mantenerli intatti nel corso dei secoli.

Ufficialmente questo gruppo nasce nei primi anni cinquanta capeggiato da “Tita Piasech” di Gries, ma probabilmente secondo alcune foto trovate in qualche casa fassana, questa gente si univa in gruppo anche prima della guerra.

I membri allora erano: Gigio da Molin, Luigia Piasega, Maria de Ciciòl, Giovanino da Poza, Rosa de Cercenà, Mondo de Zerilo, Cornelio del Lip, Angela del Grisc, Gigio del Grisc, Tita Piasech.
Non mancano certamente i contatti con altri gruppi ladini: Gardena, Badia, Fodom e Ampezzo, per misurarsi a vicenda, imparare nuove figure, conoscere diverse opinioni, per avvicinarsi alla cultura ladina.
Giuseppe Iori de Mita fornisce già nei primi anni sessanta in un documento spedito all’Enal di Trento una descrizione dei balli che allora facevano parte del repertorio del suo gruppo folcloristico ladino.

All’epoca i cavalieri e le dame erano accompagnati da una fisarmonica, un violino e una chitarra.

I musicisti suonavano melodie sentite dai loro padri e raramente si riferivano a spartiti e note musicali;
infatti queste melodie sono quasi tutte di autore ignoto e di antica data.

Attualmente il Gruppo Folkloristico Canazei ha un repertorio della durata di circa un’ora.
L’esibizione inizia e termina sempre con il maneggio della bandiera dai sette colori che rappresentava anticamente le sette comunità di valle e tutt’ora i sette comuni della Val di Fassa.